Adesso vi racconto come funziona, a volte, per me naturalmente, per voi non so e non vi dico di copiarmi che non so quanto funzioni per chi non è me. Allora, capita, una sera di ottobre, a Milano, di andare alla Libreria Utopia per sentir parlare di Cicatrici di Juan José Saer, amatissimo da me; ne parla la traduttrice Gina Maneri con la quale, incidentalmente, mi ero, da pochi giorni, prima ringhiato un po’ contro poi diventato amicone tutto nell’arco di una sera e tutto attraverso queste pagine – si possono definire pagine? schermate? brutto “schermate”, pagine digitali? orrendo, vada per pagine – ed era stata proprio lei a dirmi che ci sarebbe stata quella serata dedicata al meraviglioso Cicatrici.
Quindi vado: libreria bellissima, libro bellissimo e delle chiacchiere con creature aventi qualche tratto in comune.
Vado. Esco. Dovete sapere che io sono un ritardatario naturale, di quelli che se lasciati al proprio istinto selvatico uscirebbero di casa 5 minuti dopo l’orario ultimo definitivo prestabilito per un appuntamento dicendo, con la massima convinzione e fiducia nell’esistenza di una scienza dei miracoli, “No, ma ce la posso fare.”
Ora, detto questo, aggiungo però che sono anche uno consapevole e forse come una bestia che a forza di prendere scudisciate si addomestica, anche io mi sono addomesticato e reprimo questa natura ritardataria uscendo con anticipi geologici, tali da compensare tranquillamente scioperi selvaggi dei mezzi pubblici, due o tre rientri in casa per recuperare accessori dimenticati, slogature d caviglie e così via. Quella sera non è successo nulla del genere e così mi sono ritrovato, pur procedendo con grande calma e giri viziosi, ad essere alla libreria con larghissimo anticipo.
Entro. Che dovevo fare, tanto più che ora si è dotata anche di un bar interno? Entro. Entro in libreria e mi metto a guardare i libri. «Non compro niente, ne ho a scaffali ancora da leggere, più quelli che prendo regolarmente in biblioteca». Dico così. Lo dico ogni volta. Non funziona mai.
E il motivo è carnale. Quasi erotico, anzi forse proprio erotico, o se non proprio erotico è sensuale. Carnale e sensuale. In breve, io tocco. Accarezzo. I libri, in questo caso. Inizio a toccarli, ad accarezzarli, faccio scivolare lentamente la palma della mano sulla copertina, li osservo, leggiucchio poche frasi, il risvolto, neanche tutto, saltando qui e là, mi ripeto il nome dell’autore, inizio a immaginare la storia che racconta, come la racconta, mi immagino mentre la leggo, vedo immagini di me che leggo, ed ascolto il suono che producono queste immagini, se lo producono. Se è una musica, una musica piacevole, allora la scelta è fatta. È fatta nel senso che è completa e definitiva. Non cerco altro, non mi interessa sapere niente di più. Quello è un libro che voglio leggere.
Capisco che sia un procedimento da amplesso rabdomantico, ma per me funziona in modo strepitosamente efficace e mica da ieri, da decenni, da una vita.
Io ho bisogno di sentire la carne, anche nei libri. Se non la sento, non è il mio libro. Questa è la regola o l’esigenza, giratela come preferite.
Quindi. Entro e inizio a guardare e toccare. L’occhio cade su una copertina con un’immagine curiosa: una specie di luna di Babele sospesa in un cielo azzurro. L’occhio si sofferma. Poi proseguo l’esplorazione. Poi ritorno. Di nuovo lo sguardo che si fissa. Inizia la palpazione. Devo sentire la carne. Tocco, sfoglio, leggo il titolo, non mi dice nulla, leggo l’autore, russo, ah! i russi che tornano in questo periodo!, sono già due segni, due note che suonano, leggiucchio qualche frase, «Prologomeni – In epoche diverse ebbe quattro nomi.», iniziano le immagini, mi vedo nel cono di luce della lampada a stelo circondato dalla penombra, le gambe allungate, fuori piove, il silenzio dell’acqua che mi isola…
Prologomeni – In epoche diverse ebbe quattro nomi… La sentite anche voi una musica? Di sottofondo, che emerge da qualche altoparlante nascosto… Prologomeni… è l’attacco… Prologomeni… In epoche diverse ebbe quattro nomi… intanto lo accarezzate a palma aperta e leggete il nome, Vodolazkin, cercate di ripeterlo correttamente, Vodolazkin, russo, ah! I russi! Folli, pazzi, squinternati, geniali, hanno il fuoco che gli brucia l’anima… Lauro… una storia medievale russa, di santi ortodossi, gli starec, di amore, amore folle, amore magico, amore iconico, amore assurdo, amore da leggende di pazzi, e vagabondi, pellegrini, una storia fantastica, una storia di un personaggio che In epoche diverse ebbe quattro nomi… Arsenio, Ustino, Ambrogio e Lauro… ma è sempre lui lungo tutta una vita da bambino, da novizio, da guaritore, da folle in Cristo, da beato, ma sopra tutto sopra ogni nome e ogni vita vissuta in una vita sola, da amante che ha ucciso l’amata e compie il sacrificio supremo, che non è togliersi la propria di vita, ma dedicarla completamente, completamente in senso medievale e fantastico e pure esoterico – il che significa arrivare a vivere nel proprio corpo che diventa il corpo di un estraneo e così non avvertire il gelo pur essendo nudi, il dolore delle ferite, la fame, la sete – dedicarla all’essere amato che ha riamato e che si ha ucciso.
Io non sapevo tutto questo quando carezzavo Lauro nella libreria, ma sentivo che era una carezza sensuale, come si dedica a un’amata. E sentivo bene.
Sarebbe inutile e stupidevole blaterare iperboli – capolavoro! favoloso! straordinario! – per questo libro. Non è una pietra miliare della letteratura nè una di quelle creazioni che distillano l’arte del romanzo. È un’altra cosa. È un piacere dei sensi leggero, è uno di quei libri che riconcilia col mondo e con le parole, frutto della stupenda capacità che qualcuno ancora possiede, Evgenij Vodolazkin in questo caso, di raccontare una storia che si mescola con la fiaba e con l’avventura e con la Storia e con le leggende e con le superstizioni e con il passato e con l’amore e con gli uomini e con la fanciullezza che teniamo rinchiusa. Il risultato è il puro piacere della lettura, come quando si legge una storia di pirati di Stevenson o una saga nordica o, seppur con molte differenze, anche il Don Chisciotte, oppure, e questo è forse l’esempio più vicino, L’ordalia di Italo Alighiero Chiusano, libro bellissimo appena ripubblicato da Castelvecchi.
La quarta di copertina, solitamente bugiardissima, questa volta merita di essere menzionata. Dice Zachar Prilepin: «[…] un infinito senso di felicità per il fatto che esistano libri come questo.» Non potrei essere più d’accordo, felicità nello scoprire che esiste ancora qualcuno capace di scrivere libri come Lauro.
Bello bello bello.
Un pezzo, più per il piacere di rileggerlo che non per altro.